Quando accadono simili episodi che sfuggono alla razionalità, ci sono solo due modi per interpretarli: ricondurre tutto alla coincidenza. Al caso. Oppure vedere in certi accadimenti segni tangibili di un destino cinico e baro che la settimana scorsa ha tolto il papà ad Emanuele Volonnino e nel week end lo ha trasformato nel match winner di Sporting Sala Consilina-Olimpia Verona. Sì, proprio il figlio di Antonio, colto da un malore ad appena 54 anni, il gol del 17 a 17” dal suono della sirena sentenzia un 3-2 senza alcun senso logico.
Da dove nasce l’esigenza di dover giocare per forza dopo una tragedia personale simile?
“Credo sia carattere. Sono sempre stato uno che ha preso la vita di petto. La società mi aveva detto che mi sarei potuto prendere una settimana, dieci giorni di stop. Ma è stato più forte di me, volevo giocare”
Ne parli ovviamente con coach Oliva…
“Certo, l’ho chiamato e gli ho detto che l’indomani sarei andato al campo per allenarmi. Non voleva crederci, non se l’aspettava proprio: mi ha risposto se ne ero sicuro, che mi sarei potuto riposare, gli ho detto semplicemente che mio papà voleva vedermi giocare, perché quando gioco sono felice”.
E così scendi in campo…
“Sono partito con la voglia di mangiarmelo il campo, anche se è stata dura perché il pensiero di papà c’era sempre. Io non credo molto alle coincidenze o al caso, me lo sentivo che potevo segnare. Sul 2-2 con il portiere di movimento ho pensato davvero al gol, mancavano ancora una trentina di secondi”.
Quel gol alla fine arriva…
“Me lo sentivo, si è creata l’occasione e ho segnato. La prima cosa che ho pensato è che lui era con me, al mio fianco. Poi ho guardato mio figlio in tribuna e sono scoppiato a piangere”.